Di seguito alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a da Massimiliano Giannocco, Responsabile Rapporti con istituzioni ed Enti Locali di Unem.

Gli ultimi anni sono stati piuttosto turbolenti per diversi settori e quello della mobilità non è stato da meno. Quali sono i dati più rilevanti per comprendere il contesto di mercato e la sua trasformazione?

Sono stati anni molto difficili che hanno messo a dura prova la tenuta delle aziende, costrette a fronteggiare problemi di liquidità perché sono venuti a mancare i flussi di cassa necessari. 

Durante le fasi più acute della pandemia, infatti, i volumi venduti sono crollati per il sostanziale blocco dei trasporti e le perdite, in poche settimane, sono state di diversi miliardi di euro. Delle circa 10 milioni di tonnellate di prodotti perse nel 2020 solo la metà sono state recuperate nel 2021. Il recupero è stato più evidente per i prodotti autotrazione (benzina e gasolio), che hanno addirittura superato i livelli pre-Covid per la ripresa del trasporto privato e delle merci, mentre per altre destinazioni la situazione è ancora preoccupante. Ciò vale in particolare per i prodotti destinati all’aviazione che, rispetto al 2019, presentano volumi ancora inferiori del 56% con prospettive di ripresa non ancora visibili all’orizzonte. 

Sono dati che meritano la massima attenzione, considerata la strategicità del settore. Si consideri che il 92% del fabbisogno energetico nei trasporti è oggi assicurato dai prodotti petroliferi (ovviamente miscelati con quote crescenti di biocarburanti); inoltre, il 98% del parco veicolare italiano ha motori a combustione interna alimentati da benzina, gasolio, gpl e metano.

Quali sono le peculiarità del mercato italiano?

Il mercato italiano è uno dei più rilevanti a livello europeo, ma ha caratteristiche molto diverse rispetto agli altri Paesi. Ciò vale soprattutto nel segmento della distribuzione carburanti. Abbiamo un numero di impianti (circa 22.000 p.v.) che è circa il doppio rispetto a quelli di Francia e Spagna, addirittura il triplo se ci confrontiamo con il Regno Unito, ma con erogati che sono meno della metà (circa 1.300 mc di erogato medio italiano). 

Anche le cosiddette attività non-oil sono molto meno diffuse che nel resto d’Europa (poco più del 20% dei punti vendita italiani ha attività commerciali integrative contro il 90% di Gran Bretagna e Germania, e il 75% di Francia e Spagna). 

Altra caratteristica è l’estrema frammentazione degli operatori. Oggi ci sono più di 260 marchi di operatori petroliferi con impianti di carburanti e oltre 3.400 impianti senza marchio riconosciuti (cosiddetti no logo) spesso titolari di un solo impianto. C’è da rilevare che tale frammentazione ha permesso l’infiltrazione di operatori legati alla criminalità organizzata. Fenomeno che si può sconfiggere solo con la digitalizzazione di tutta la filiera. A riguardo, passi avanti importanti sono stati fatti, ma non bisogna abbassare la guardia.

È chiaro che per affrontare la transizione qualcosa si dovrà cambiare, ma senza un supporto delle Istituzioni tutto sarà più difficile. 

Qual è la vostra visione del punto vendita del futuro?

In prospettiva la stazione di servizio dovrà trasformarsi in un vero e proprio “punto vendita di energie per la mobilità”. Un luogo dove trovare ogni tipo di prodotto legato alla mobilità: dai prodotti tradizionali ovviamente decarbonizzati ai biocarburanti (che già sono il 10% dei carburanti immessi in consumo), fino ai carburanti sintetici, all’idrogeno, al gnc, al gnl, all’elettricità e a quant’altro si svilupperà nei prossimi anni. Sarà anche un centro che potrà offrire varie attività e servizi all’automobilista. Insomma, qualcosa che sta già cominciando a prendere forma.

Quali sono a suo avviso gli step fondamentali per accelerare questa trasformazione?

Molto dipenderà dalle scelte politiche di adesso. È evidente che tale trasformazione ha bisogno di un supporto a livello istituzionale per individuare scenari di transizione condivisi, pragmatici e senza preclusioni ideologiche, che permettano alle diverse filiere industriali coinvolte di investire e svilupparsi in un’ottica low carbon. Serve una chiara visione di prospettiva con tutte le anime istituzionali in coordinamento e sinergia tra loro, sia a livello centrale che territoriale, e che si impari dagli errori del passato, perché tanti progetti di razionalizzazione, ammodernamento, qualificazione e trasformazione della rete sono miseramente falliti.

 

Fonte: Fortech